Gli sguardi che si intrecciano tra le volate di fumo intenso e denso, parlano senza dire nulla. Osservando il lucido smalto dei tuoi occhi posso percepire le tue labbra socchiudersi abbandonate ad un ricordo che debutta nel lieve ritmo del respiro, quel piccolo muscolo della tempia sfugge al controllo ed un ispirare profondo trattiene fragranze di ricordi e desideri che si srotolano come un tappeto rosso fra te e me. Seguo con passi cadenzati e lenti il tappeto di porpora che mi porta verso il sapore della tua pelle e con l’indolenza di un gatto accarezzo il tuo petto permettendo alla tua mano di allontanare un fil di capelli dal mio viso che intanto scruta, scruta sul tuo petto il respiro che avanza, chiudo gli occhi e lo aspiro: il tuo profumo si immerge in me, scivola fra le mie acque dense di silenzi e certezze, si bagna fra nei miei liquidi desideri e pulsa, come il sangue lungo il tuo collo che sfioro con le labbra.
Chiudere gli occhi e sentire il mondo ruotare ora, è un brivido di abbandono che mi concedo per un istante.
Le mani esperte cingono i corpi che seguono ormai le proprie armonie musicali, si muovono lenti come danzando una musica concentrata con l’olio dei pensieri che si mescolano fino a perdersi fra loro. Una schiena si arcua, chiamando le carezze, una spalla dondola, spostando un sussurro d’epidermide, il bacino dondola il suo richiamo: la sua invocazione comincia lenta come un’altalena, e acconsente alle labbra, libere, di sfuggire dalle labbra; leggeri tocchi di sapore vezzeggiano il volto: su verso gli occhi chiusi dalla vertigine e giù verso la linea di sangue del collo. Sento la tua anima pulsare e volteggiare mentre le mani cedono al tempo veloce del desiderio negato che lento ed esasperante si insinua nel pensiero abbandonato dalla ragione, nel trionfo dell’eros mi allontano e ti scosto: dimostrami quanto desideri, quel che vuoi. Il tappeto porpora mi allontana quando tu ghermisci i fianchi traendoli a te, è il turno del mio lungo collo di offrirsi alle tue labbra in un gesto di falsa dipendenza, ho un sorriso sul viso ed è un sorriso che conosci.
Gustare con ingordo appetito la vivacità del tuo capriccio setacciando la pelle in cerca d’oro è frivolo turbamento per me, un precipitare nella sete di me per te. Così intanto che i tempi di questa danza divengono sempre più dispotici mi nutro della gastronomia della Natura, e lascio a te un viaggio verso il delirio degli arti che si contraggono e si rilassano, si tendono e si spiegano come ali d’uccelli in volo. Cerco smeraldi inquieti fra i corpi mescolati, cerco la vista senza veli di chi è spoglio dalle maschere e languido ormai all’ambizione, e i sussurri d’olio caldo scivolano fra le pieghe dei corpi e si addensano ricchi di sogni fra le curve dell’udito mentre si tratteggiano dipinti conditi di frizzanti colori d’ambra.
Nessuna ricerca intellettuale di battiti reciproci, di tempistiche da atleti senza entusiasmo, ma l’egoistico bisogno di soddisfare un animale interiore che ormai ribolle convulso e che prende, l’offrire è una casuale conseguenza di questa reciproca fame che proibisce parole o ricami, ma afferra e scuote, agita e dimena senza sguardi da condividere, perché l’ingordigia non conosce scenografie, piuttosto concede segni sulla pelle che rimarranno nel ricordo a scaldare le notti che verranno. E rabbia.
Rabbia animale che esplode in imperativi senza educazione, rari momenti di me che lasciano compiacimenti in te, finché non rimarrà solo la pigra ricerca di un profumo confuso fra le pieghe del corpo, uno scivolare di narici sulla pelle nel tentativo svogliato di ritrovare te, da me, me, da te.
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