In un paese piccino picciò c'era una foresta fuori dal tempo fatta di noci e querce giganti. Le felci erano alte quanto un palazzo e i funghi grandi quanto una casa, c'erano insetti con ali di cristallo e gnomi che correvano veloci.
Nella foresta gigante viveva una bambina piccina picciò coi capelli lunghi, lunghi fino ai piedi, sui quali ogni tanto inciampava cadendo in avanti o all’indietro. Viveva in una radura piccina picciò al centro della foresta gigante, da sola.
Era stata trovata dai lupi che l'avevano nutrita, ma poi un giorno il branco aveva lasciato la radura e si era spostato a nord per trovare più cibo e non morire. Ma lei, che aveva le gambe piccine picciò, al primo balzo di lupo cadde inciampando e allora, con gli occhi colmi di lacrime piccine picciò, era rimasta per paura di non riuscire a proseguire.
Questa bambina, nonostante i genitori adottivi le avessero detto di avere gli occhi dei lupi che di notte fanno vedere più lontano, aveva una grande paura del buio mostruoso. Così, quanto la foresta si ammantava di buio, lei si copriva gli occhi terrorizzata e scappava nei più nascosti anfratti per farsi accarezzare i lunghi capelli dai ragni gentili.
All'imbrunire di un giorno qualunque, nella foresta dei maestosi giganti, la bambina piccina picciò si accorse di aver perso la strada per la familiare radura. La notte stava arrivando veloce sul suo carro argentato e lei correndo in tondo giunse al bordo di un fiume che non aveva mai visto. Si mise a piangere chiudendosi gli occhi in attesa dei mostri che l'avrebbero uccisa. Ma ad un certo punto si accorse che c'erano altri singhiozzi che si intercalavano ai suoi.
Allora spostò un dito, poi un altro, un altro ancora, e vide un panciuto orcio d’argilla. L'orcio tremava ad ogni singhiozzo, emettendo un tonfo disperato. Era un orcio crepato, piccolo e sporco steso sull’erba medica ai piedi di un fungo.
La bambina lo prese nelle mani piccine picciò e l'accostò al petto per vedere se i tonfi che sentiva fossero quelli del suo cuore che batteva forte forte dalla paura.
"Aiutami!" sentì all'improvviso chiedere.
Ma la bambina piccina picciò per la paura grande, grande che provava lasciò cadere l'orcio che rotolò su di un sasso e si scheggiò.
Lei spaventata la raccolse da terra e la baciò come facevano i lupi, perché i baci, le avevano insegnato, rendono sempre tutto meno doloroso. Ma siccome era impulsiva come tutti i cuccioli di lupo, nella foga del bacio tolse il tappo e il contenuto uscì tutto fuori. Era un bambino del fiume con gli occhi azzurri ma così azzurri che sembravano fatti d’acqua.
“Grazie” disse il bambino accomodandosi sulle onde del fiume “Mi avevano messo in quell’orcio sporco e puzzolente e da li non vedevo più la Luna”.
“Di niente” disse la bambina piccina picciò “Ma se mi vuoi davvero ringraziare resta con me stanotte perché io ho paura del buio”.
Il bambino del fiume e la bambina piccina picciò restarono insieme fino all’alba e parlarono dei lupi e delle fate che si nascondono nell’edera verde, parlarono dei rospi che cantano sulle ninfee e delle libellule che vivono sul fiume. Quando arrivò l’alba il bambino del fiume allungò la mano e disse “Per te” era un piccolo campanellino d’argento “Così saprò come trovarti” disse lui prima di sparire.
Ogni notte la bambina piccino picciò, nonostante la paura, tornava al fiume e incontrava tra i flutti il bambino del fiume. Ogni notte parlavano di fate e di ragni, di sogni e di profumate campanule. Ogni notte lui allungava la mano e diceva “Per te” lasciandole ora una piuma, ora una bolla, ora una pietra focaia. E poi ogni notte spariva.
La bambina andava in giro con tutti i colorati doni del bambino del fiume senza capire a che servissero, però li portava con sé e ad ogni passo dondolando come un fiore al vento. Una sera il bambino del fiume scomparve e non riapparve le notti seguenti.
La bambina tornava sempre al fiume ad aspettarlo ma lui non veniva più a trovarla. Lei arrabbiata raccontava ai girini che il bambino non esisteva e se l’avesse rivisto non gli avrebbe più rivolto la parola, come fanno tutti i bambini piccini picciò quando sono arrabbiati, eppure ogni sera tornava al bordo del fiume.
Ma in quelle lunghe notti solitarie la bambina imparò ad ascoltare il rumore delle correnti e il suono che fanno gli alberi quando vengono invitati a ballare dal vento, imparò i diversi modi per suonare un campanellino d’argento e chiamare le stelle a raccolta, imparò ad usare le piume per disegnare porte e sentieri che la portavano ogni giorno in regni fatati, imparò ad accendere un Fuoco senza bruciarsi e ad usare una bolla per indovinare i desideri degli scoiattoli. Imparò notte dopo notte a usare tutti gli strani doni che lui le faceva ogni volta, battendo le mani dalla gioia quando scopriva una cosa nuova. La bambina piccina picciò si accorse anche che se non si metteva le mani davanti agli occhi di lupo vedeva davvero più lontano e che quelli che lei chiamava mostri erano solo ombre che danzavano gentili, guidate dal chiarore della Luna.
Una notte si stese a pancia in giù al bordo del fiume con l’orecchio sul prato ad ascoltare i respiri sommessi della terra. Con la coda dell’occhio scorse un’immagine sullo specchio del fiume. Vide i capelli lunghi lunghi e con occhi grandi grandi si guardò come se si vedesse per la prima volta. All’improvviso dietro di lei vide apparire il bambino del fiume.
Allora si voltò per abbracciarlo ma era sparito di nuovo. Smarrita ritornò con lo sguardo al fiume ma lui era li che sorrideva. Erano vicini come un’immagine speculare.
E prima di sparire di nuovo, mentre i loro volti l’uno accanto all’altro si toccavano senza sfiorarsi,lui disse sorridendo quello che diceva sempre “Per te” lasciando l’immagine della bambina piccina picciò a dondolare sui flutti del fiume assieme alla luna, con un campanellino d’argento stretto, stretto nella mano.
Copyrught: Santaria
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