All'interno della grande casa rossa al centro del giardino quella notte il bambino melograno nel suo lettino non riusciva proprio a prendere sonno. I suoi piccoli piedini, si muovevano nervosi dentro la scatola di fiammiferi che era il suo lettuccio. Ascoltava il ritmico russare del bambino vanitoso che, si sa, russava rumorosamente solo per tenere sveglio il suo riflesso, così da fargli venire gli occhi pesti.
Però non erano i rumori porcini del bambino vanitoso a tenerlo sveglio quella notte, ma uno strano nervosismo che era cominciato all'ora di cena, quando la Mamma sorridendogli gli aveva fatto trovare sul tavolo il suo piatto preferito. Mentre si stava per avventare con la sua solita voracità su quel piatto meraviglioso, una voce all'improvviso disse: "Ho paura".
Il bambino melograno allora con la forchetta a mezz'aria guardò in cagnesco la bambina saetta, che gli era seduta accanto e con gli occhi torvi le infilzò la mano. La bambina saetta spaventata lanciò un fulmine che finì sulla lasagna carbonizzandola, per poi piangere di rabbia così tanto, ma così tanto, da spegnere l'incendio nel suo piatto.
"In fondo è risaputo che il pasto e un momento sacro, e come dice sempre la Mamma, è vero che i miracoli non esistono ma un pò di buona educazione è bene impartirla" pensò annuendo il bambino melograno mentre masticava soddisfatto un pezzo di lasagna.
Terminata la cena però, mentre il babau che non voleva fare paura stava costruendo un marchingegno complicato per far divertire la bambina ombra di drago e la Mamma e il bambino vanitoso giocavano con le carte a Scoprilaporcheria, il bambino melograno sentì di nuovo quelle voci: "Siamo qui!" dissero le voci.
Il bambino melograno che era pauroso, paurosissimo, si spaventò a tal punto da correre in cucina e nascondersi nel barattolone del sale grosso per non farsi più trovare. Ma mentre i grani di sale gli pungevano il didietro piccolo, piccolissimo, le sentì di nuovo: "Dove credi di nasconderti?!".
Il bambino melograno si mise a tremare tanto, ma così tanto che il sale grosso divenne fino e gli entrò nel nasino minuscolo, facendolo starnutire. Poi, arrabbiato e spaventato si mise ad urlare con tutto il fiato che aveva in gola: "Via! Andate via, non voglio sentirvi! Che volete?"
"Niente, non vogliamo niente" risposero le voci "vogliamo solo stare qui con te".
Così il bambino melograno ancora tremava nel suo letto al ricordo di quelle voci, sembravano tante vocine piccole, piccole, appiccicose come i cioccolatini sciolti al sole e non lo lasciavano in pace, non lo lasciavano neppure dormire.
Il mattino dopo al risveglio scese la scala di bastoncini di gelato, mogio. Non aveva chiuso occhio quella notte e aveva gli occhi pesti, tanto che il riflesso del bambino vanitoso sorrise, sogghignando soddisfatto: c'era qualcuno messo peggio di lui.
In cucina trovò la bambina saetta che stava preparando ad occhi chiusi la tisana svegliarella e mezza addormentata gliene porse una tazza, ma la tazza cadde per terra irrimediabilmente.
"Ma sei proprio distratto, peggio di me nei miei giorni migliori" disse lei. Però appena l'ebbe detto si mise le mani sulla bocca aperta dalla sorpresa.
"Che ti prende bambina inutile?" chiese il bambino melograno "Guarda che faccio l'imbranato solo per farti compagnia!" le rispose irritato.
Ma la bambina indicò terrorizzata in silenzio la sua piccola manina. Era sparita!
Prima che il bambino melograno potesse urlare dalla paura, la bambina saetta aveva già organizzato una riunione di famiglia in cucina.
"Sono ancora i mangia sorrisi!" sentenziò la bambina saetta.
"E' un incantesimo che ha lanciato quell'invidioso del mio riflesso!" rifletté il bambino vanitoso guardando con occhi torvi il suo riflesso, che preso dal panico muoveva le mani negando ogni cosa.
"E' ovviamente un caso di invisibilite" disse il babau che non voleva fare paura "Posso chiamare un mio vecchio amico troll e chiedere consiglio".
Ma la Mamma e la bambina con l'ombra a forma di drago si guardavano pensierose.
Fu la Mamma a parlare:
"Bambino mio, che ti succede? Cos'è che non mi hai raccontato?" gli chiese.
Il bambino melograno però cominciò a sentire di nuovo quelle vocine piccole piccole che gli parlavano: "Ho fame!" dicevano, "Ho freddo!" continuavano, "Tienimi la mano!" un'altra gridava.
Il bambino melograno si sentiva strano, non riusciva a sentire più nulla fuorché quelle vocine, era come se fosse immerso in un bicchiere d'acqua e tutto gli arrivasse ovattato.
Non sentì neanche la Mamma che diceva "Purtroppo credo siano gli Echi".
La bambina saetta, che conosceva solo l'eco che faceva la sua voce quando gli altri si stancavano di sentirla parlare, chiese: "Ma che sono questi echi, dei vermi pelosi forse?".
"No" rispose la mamma "Sono le voci di quelli che prendono senza dare. Poiché non sono in grado di dare nulla che non siano richieste, non diventano di carne ed ossa ma restano solo voci".
"Ma perché sta diventando invisibile il bambino melograno? Se continua così lo perderemo!" piagnucolò la bambina saetta mentre guardava il naso del bambino melograno scomparire.
"Ecco, bambina mia, gli Echi prendendo senza restituire l'amore alla fine ti rubano tutto, pure l’anima" disse la Mamma senza sorridere.
"Ma cosa possiamo fare?!?" urlò il bambino vanitoso che non voleva perdere il suo compagno di stanza e restare solo con il suo riflesso.
"Aspettare!" disse la Mamma, e la bambina ombra di drago annuì perché lei sapeva fin troppo bene cosa la Mamma intendesse.
I giorni passarono e il bambino melograno scompariva sempre di più: piccolo ma che dico piccolo, piccolissimo! Si nascondeva sempre più spesso in giardino dietro il grande albero, dove le formichine impietosite ogni tanto gli portavano un fiore appena colto o facevano i giochi di prestigio con le molliche di pane.
Ma quelle vocine insistenti non lo abbandonavano neppure un attimo: "Sei carino sai? Ho sonno! Non so cosa fare! dammi un sorriso!".
E lui diventava sempre più piccolo, sempre più trasparente, tanto che una volta il babau che non voleva fare paura l’aveva scambiato per un bicchiere e aveva provato a versarvi dentro succo di mirtillo bagnandolo tutto.
Il bambino melograno non riusciva neanche più a piangere, perché ogni lacrima che produceva scompariva prima di arrivare sulla guancia, tanto che la bambina saetta doveva piangerne di sue per poi appoggiargliele sulle gote di nascosto, affinché lui non se ne accorgesse.
Un mattino però, mentre il bambino melograno era seduto sotto il grande albero di quercia ad ascoltare quelle vocine, sempre più numerose, sempre più appiccicose, da dietro una pianta di girasole apparve un bambino.
Aveva il sorriso più bello che il bambino melograno avesse mai visto, aveva dei capelli attorcigliati come i tentacoli di un polpo e portava con se un grande sacco colorato.
"Ciao!" disse il bambinoPolpo.
Ma le voci ricominciarono, sempre più insistenti, sempre più vicine, tentando di trascinare il bambino melograno ancora una volta nel loro mondo ovattato: "Stai con noi! abbiamo bisogno di te! Ascoltami! Rassicurami! Ho freddo!".
Fu in quel momento che il bambino polpo urlò: "SMETTETELA!".
Il bambino melograno sgranò gli occhi grandi e un po’ di colore apparve sulle sue guance trasparenti. Lui le sentiva!
Ma sospettoso si mise la testa tra le gambe trasparenti per evitare di guardarlo, in fondo era pur sempre uno sconosciuto ma che dico sconosciuto, sconosciutissimo.
Il bambino Polpo gli si sedette accanto, aprì il suo sacco colorato e ogni volta che una vocina provava ad insidiare il suo nuovo amico, lui la prendeva delicatamente e la riponeva nel sacco che sembrava fatto della stessa sostanza delle nuvole o dei sogni.
Le ore passarono, ma il bambino Polpo succhiando un bastoncino di liquirizia raccontò al bambino melograno dei posti in cui era stato, degli animali che aveva visto, dei sogni che aveva esplorato e, mentre parlava, ogni tanto catturava una vocina e la riponeva nel sacco.
Fu così che ad un certo punto, il bambino melograno si accorse di sentire ogni parola sempre più nitidamente e incominciò a sognare i posti che il bambino polpo gli raccontava, a sentire i profumi del mari che aveva navigato e la pelliccia morbida degli animali che l’avevano seguito.
Aprì gli occhi e quello che vide lo fece tremare di gioia: non era più trasparente!, le sue manine erano colorate di rosso per quanto le aveva strette e i suoi capelli biondi erano tornati del colore del grano.
Si voltò e vide il bambino polpo sorridere e sorrise di rimando.
Allora senza pensare troppo gli disse: "Io abito la!".
"E allora è là che verrò anch’io!" rispose il bambino polpo.
E senza dirsi altro si avvicinarono alla grande casa al centro del giardino, mentre la Mamma, che sa sempre quando è tempo di guardare dalla finestra, li osservava con un piatto di biscotti in mano e il babau che non voleva fare paura era già di sopra a costruire un lettino in più.
Posta un commento